
“Un giorno senza sorriso è un giorno perso” Charlie Chaplin
Siamo nel 1936 e Charlie Chaplin immagina, produce, scrive, fa da regia e musica, uno dei suoi film capolavoro, un caposaldo del cinema muto del ‘900, Tempi Moderni. Per chi non conosce la trama e non ha avuto la fortuna di vederlo, possiamo dire che è un film che unisce aspetti sociali di vario tipo, descrivendo la situazione economica e lavorativa di una classe operaia, ed insieme quella di chi un lavoro non ce l’ha, gli aspetti alienanti di certi impieghi e gli espedienti per poter sbarcare la giornata. Un film fatto di molti episodi rocamboleschi, di un romanticismo di base mai sdolcinato, ma sempre incentrato sull ‘aspetto pratico, fatto di piccoli momenti per godersi la bellezza di quello che si ha, per poterne cogliere gli aspetti migliori anche in situazioni di difficoltà, con la licenza di potersi lasciar andare a momenti di umanità e tenerezza, fatti di pelle e sangue che fluisce, messi in netto contrasto con la la fredda bruttezza dei macchinari e degli ingranaggi della fabbrica.
In questo film lo stesso Chaplin ha composto il tema che accompagna alcune scene, una musica struggente che fa da giusto tappeto alla recitazione muta degli attori. Pensato come esecuzione di un quartetto d’archi, inizia timido e quasi traballante, per poi sciogliersi e regalare tutta la sua melodia, sembra quasi essere un poemetto sonoro, suonato per dar ancora più espressività e sfumature alle mimiche attoriali. Pur riscontrando un grosso successo come leitmotiv, per anni questa composizione è rimasta senza nome e senza testo, solo una musica, si “finita” ma quasi abbozzata, finita ma non definita fino in fondo, con insito un grosso potenziale, ma ancora acerba per poter essere qualcosa in più.
Nel 1954 poi, il genio di John Turner e Geoffrey Parsons fece si che quel qualcosa in più venne finalmente regalato a questa meravigliosa musica; gli scrissero un testo e probabilmente ispirati dalla scena finale del film di Chaplin, dove i due protagonisti si incamminano sottobraccio per un viale deserto, non prima che Charlot esorti la monella a sorridere, la chiamano Smile. Smile perché nessuno come Chaplin riusciva e sorridere e a farci commuovere allo stesso tempo, nessuno aveva il dono di possedere un sorriso così bello ma sempre velato di un leggero strato di malinconia. Smile perché bisogna sorridere anche se il cuore sta soffrendo, Smile perché quando ci saranno le nuvole nel cielo ci passerai sopra. La prima voce che canterà questo testo così semplice ma così intenso sarà quella di Nat “King” Cole, ed è una leggera coperta di velluto che scalda e scioglie quel freddo che ci portiamo dentro, è una mano calda che si posa sulla nostra testa, che col fare familiare ci infonde la giusta calma e ci tranquillizza nelle brutte notti. D’ altra parte sorridi, scoprirai che la vita vale ancora la pena di essere vissuta, se solo tu sorridi…
Tante e varie cover sono state realizzate, la più celebre, quasi un omaggio, è quella realizzata nel 1995 da Michael Jackson, ma possiamo citare quella di Rod Stewart, la minimale ed esotica versione di Ryuichi Sakamoto, la versione elegante di Gregory Porter e quella scura, magnetica e notturna di Dave Gahan. Qui le potete trovare tutte nella consueta playlist di Spotify.
“Sorridi, anche se il tuo cuore sta soffrendo
sorridi, anche se si sta spezzando
Quando ci saranno nuvole nel cielo
ci passerai sopra
se sorridi attraverso la tua paura e al dolore
Sorridi e forse domani
vedrai il sole tornare a splendere
per te
Illumina il tuo viso con la gioia,
nascondi ogni traccia di tristezza,
Se anche una lacrima può essere così vicina,
è quello il tempo in cui devi continuare a provare
Sorridi, a che serve piangere?
Scoprirai che la vita vale ancora la pena di essere vissuta
se solo sorridi…
è proprio quello il momento in cui devi continuare a provare:
Sorridi! a che serve piangere?
Scoprirai che la vita ha ancora valore,
se solo tu sorridi…”