October: U2

Una denuncia ed un atto di accusa ancora attuale, sotto forma di poesia.

Siamo nel 1981, e l’emergente band degli U2 si trova davanti a quello che per molti è un passo importantissimo, il passo che se sbagliato può vanificare tutte le aspettative creatisi dopo il primo lavoro, si trovano davanti al loro secondo album. Sulla genesi e sulle varie vicende legate a questo secondo lavoro intitolato “October” torneremo magari un’ altra volta, oggi racconteremo il brano, diciamo l’ intermezzo, che da il titolo all’ album, il brano che ci racconta in modo freddo e molto direttamente ciò che siamo (eravamo) in un ben definito periodo storico, che ci mette a nudo, spogliati dalle foglie come un albero in autunno.

Come dicevamo, siamo a Dublino nel 1981, la band affronta una grossa crisi mistica legata a sette religiose integraliste e furibonde liti tra i quattro musicisti, si arriva addirittura a pensare allo scioglimento, un momento difficilissimo. Vanno comunque in studio e danno vita al loro disco più scuro, cupo, e sofferto. Sono supportati ancora dal produttore Steve Lillywhite, e stanno attraversando la fase di crescita, di maturazione, il tutto si percepisce nei testi di Bono, che come affermerà lo stesso Lillywhite, al momento della stesura dei testi si trovava in una fase di passaggio, dall’ adolescenza al diventare un giovane uomo. Il brano viene suonato al pianoforte da The Edge, é composto da una serie di accordi incalzanti, freddi, come una folata che ci colpisce mentre entra da una finestra aperta, noi troppo scoperti, impreparati, rabbrividendo la chiudiamo, ma qualcosa in noi è cambiato, siamo più fragili, e nonostante qualche accordo più “acclimatante” e caldo, siamo ormai inquieti, prossimi all’ ascoltare ciò che la voce di Bono ci racconterà.

Ci racconterà di come il mondo stia cambiando, crollando, ci racconterà del passaggio dal decennio scorso agli anni ‘80, ci racconterà di come i rapporti umani siano freddi e ridotti al minimo, ci racconterà di questo decennio che viene interpretato come decadente e vuoto. Dentro c’è la guerra fredda e la situazione molto tesa in Irlanda del Nord, vicino casa loro, tutto ciò li rende preoccupati ed impotenti, di fronte agli eventuali sviluppi che il conflitto potrà avere. Tutto questo è stato raccontato da Bono in alcune interviste, la poesia ermetica e crepuscolare che fa da testo al brano è fatta di visoni forti, i regni che sorgono ed i regni che crollano, ma andiamo avanti, ancora. Pochi versi, in uno dei quali, ci viene detto, “Ottobre e gli alberi sono denudati da tutto ciò che indossano, cosa mi importa”, ecco questa chiusura, questo “cosa mi importa” rappresenta e rafforza proprio la vuotezza che si percepisce, rappresenta la voglia di guardare nel proprio giardino anziché preoccuparsi di quello che accade fuori, e poi si deve andare avanti ed ancora avanti, come se niente fosse, che sia per stoicismo e disinteresse sta a noi stessi capirlo.

Il brano dura in tutto qualche secondo in più dei due minuti, e resta un brano sottovalutato dalla band stessa, con un arrangiamento scarno ma efficace e la sensazione che se avessero capito ciò che stavano componendo, il potenziale che c’era dietro, forse lo avrebbero potuto sviluppare in modo più curato e completo. Resta però il fatto, che c’è molto di più nelle pieghe delle cose non dette in una poesia, che in mille parole al vento piene di vuotezza della prosa. Qui se vorrete ascoltarla.

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